Note biografiche

Paolo Tessari Venosta

Note biografiche

Paolo Tessari Venosta de Mätsch è nato a Venezia. Si è diplomato nel 1971 con Alberto Viani all’Accademia di Belle Arti, assumendo alla fine dello stesso anno l’incarico d’insegnamento all’Accademia di Urbino e qualche anno dopo sarà chiamato ad occupare la principale cattedra di pittura all’Accademia Veneziana.

Opera da diversi anni sulla scena artistica internazionale. Fin dagli esordi la sua avventura creativa si è indirizzata su percorsi singolari ed eccentrici rispetto alle tendenze della cultura dell’epoca, anticipandone vari sviluppi anche recenti. Del resto già dai primi anni ’60, precorrendo quelle che successivamente si sarebbero affermate come tendenze artistiche e persino vere e proprie mode, egli aveva realizzato nuove opere d’arte sperimentando particolari tecniche riproduttive, creando multipli e una serie di libri-oggetto e libri d’artista.

Le produzioni artistiche di Tessari Venosta in questo contesto vengono registrate già nel 1969 dall’importante XArt Collection di Zurigo, che promuove in sede internazionale le opere dei maggiori esponenti della Pop Art, tra le quali quelle di Tessari Venosta che ad esse si collegano, inaugurando però in Italia una diversa concezione dell’arte moltiplicata già da lui sperimentata nel 1966/67, attraverso le sue varie edizioni di arte seriale (libri-oggetto, scatole, armadi, figure sagomate con la tecnica del trompe-l’oeil chantourné).

Dal 1969 ha realizzato una serie pressoché ininterrotta di mostre personali e partecipato a diverse rassegne nazionali e internazionali, tra le quali ricorderemo qui solo le più significative. Sue opere sono presenti in importanti istituzioni e musei in Italia e all’estero.

In una clamorosa mostra del 1969, presso la Galleria di Bruno Alfieri, a Venezia, Tessari Venosta espone per la prima volta le “sagome” plastiche dei suoi carabinieri e garibaldini, figure bidimensionali in legno, ritagliate a grandezza naturale e dipinte, un capitolo alquanto singolare della dizione, in Italia, della Pop Art, ed in anticipo rispetto ai più noti rilievi oggettuali di Roy Lichtenstein. Realizzando tanto azioni e performance in piazza, a Pesaro (1972), Trieste (1972), Roma (1977) — nella circostanza pubblica l’artista realizza un intervento diretto e coinvolgente che prevede una situazione di co-progettazione tra arte, architettura, paesaggio urbano, comunità territoriale, introducendo praticamente un’azione che si può già definire di Public Art — quanto una loro edizione miniaturizzata in apposite scatole, o negli spazi museali tra i quali Palazzo Reale a Napoli nel 1970, Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel 1975, alla Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum di Graz negli anni 1975 e 2008, al Museo di Comacchio nel 1978, al Museo del Risorgimento di Bologna nel 2003 e al Museo Correr di Venezia nel 2008.

Ha precorso già dagli anni ’60 gli orientamenti di ricerca di alcune delle nuove correnti artistiche emerse in questi anni nel panorama artistico internazionale.

Nel 1971, espone il primo ciclo di Teschi, eseguiti nei primi anni sessanta, alla “VI Rassegna Internazionale di Pittura Massa e Cozzile (Pistoia)”, e nel 1972 alla mostra “Prospettive 5, curata da Enrico Crispolti alla galleria il Grifo di Roma, i grandi Quadrifogli sagomati su legno con i petali a forma di teschi presentati poi alla Biennale veneziana del 1986 e nelle sedi storiche del Gorejskim Muzejem Kranj e del Ljubjanski Grad Ljubljana in Slovenia nel 1964. Scrive a proposito Toni Toniato : I Teschi realizzati da Tessari Venosta, a riprova di una simbologia mai abbandonata dall’artista, anticipano in maniera d’avvero sorprendente i motivi e le figurazioni, assai più tarde, di John Le Kay e di Damien Hirst.

Sul tema del teschio così frequente nelle sue opere tornano dunque memorie familiari strettamente legate alla Valtellina in un intreccio di misteriose fascinazioni culturali richiamanti le loro lontane radici nel più remoto oriente : significativa in tal senso è la pubblicazione Dal Tibet alla Valtellina Teschi e Danze della Morte del 2016 : La pubblicazione, raccoglie alcuni momenti tra i più significativi della produzione dell’artista risemantizzati alla luce di nuovi interessi e ricerche. Nasce in realtà da un’indagine sulle antiche origini del suo casato che lo porta in Engadina con i von Tarasp, in Val Venosta con i Mätch ed infine in Valtellina: itinerario personalissimo tra le vestigia di antichi manieri e simboli araldici. Nel suo percorso a ritroso, dalla Valtellina al Tibet, l’autore annoda istanze archetipali e motivazioni artistiche in una rivelativa corrispondenza di temi e di immagini.

L’attrazione, l’interesse e l’approfondimento delle zone anche remote delle filosofie orientali – lette e rielaborate attraverso il loro repertorio iconografico – conducono poi Tessari Venosta nel 1977 a inserirsi, con gesto perturbante, nel gioco di contaminazioni della cultura Moghul. L’esito di questo lavoro viene presentato nel 1980 nella mostra Tessari Venosta un miniatore di scuola Moghul , alla Galleria Ravagnan di Venezia ; esposizione che sarà riproposta nel 1990 col titolo Un veneziano alla corte del Moghul , con miniature mutuate dalla scuola Moghul , alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia.

Iniziato ai misteri del mandala e alle liturgie che ne accompagnano la costruzione, egli introduce nelle sue operazioni artistiche un rituale altrettanto magico che inviterà l’osservatore a scoprire e a partecipare ai segreti di quel sapere occulto. In queste operazioni si inserirà l’evento d’arte da Lui “messo in opera, avvenuto nel mese di dicembre 2002 all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel corso del quale quattro monaci tibetani, hanno quadiuvato l’artista a realizzare uno straordinario Mandala Jamantaka, immagine sacra che ha preso forma nell’arco di sette giorni proprio là dove un tempo si trovava l’altare nell’abside maggiore dell’antica chiesa, al cui posto si trovava all’ora l’atelier di pittura di Tessari Venosta. Il mandala in una cerimonia collettiva, è stato poi cancellato, distrutto, e quindi sparse le polveri dell’irradiante alchimia fattuale della sua “immagine, nelle acque che scorrono lungo il Canal Grande.

Ha operato compiendo infatti spericolate incursioni e vitali contaminazioni tra antiche tradizioni espressive e nuovi stili, appropriandosi inoltre dei feticci della cultura di massa e riproponendoli pertanto come oggetto di fruizione estetica e critica.

Nel 1986 alla XLII Biennale di Venezia espone una serie di Wunderkammer che in gran parte aveva presentato nel 1979 al Museo d’Arte Moderna di Ancona , nell’importante mostra dal significativo titolo Ipotesi per un museo.

Invitato con un padiglione personale dalla prestigiosa istituzione veneziana nella sezione storica curata da Maurizio Calvesi, l’artista espone in quest’occasione una labirintica galleria costituita da una complessa varietà di armadi,

tra cui la Wunderkammer di un suo antenato vissuto nel XVII secolo già modello ideale della sua ricerca artistica

concepita con criteri in cui la natura sconfina nell’arte e viceversa. Armadi aperti , contenitori di un incredibile assortimento di oggetti strani e rari naturalia et artificialia : in una preziosa e provocatoria museificazione enciclopedica, esempio unico e davvero insuperabile di una Wunderkammer d’artista dei nostri tempi. Tale esperienza aprirà la strada a similari ricerche che segneranno orientamenti e tendenze sull’attuale scena artistica internazionale.

E’ presente nel 1987 a Palazzo Grassi a Venezia, all’interno della manifestazione Effetto Arcimboldo con multipli arcimboldeschi già progettati sin dal 1969. In quell’occasione Simone Viani scrive : Credo che nelle opere come nella poetica di Tessari Venosta sia sempre presente, una vera e propria affinità elettiva con Arcimboldo, entrambi operano negli spazi ambigui e umbratili delle Wunderkammer.

Già nel 1984 progetta e realizza delle sorprendenti Vetrine in cui mescola elementi di acheologia lagunare e simboli apotropaici della storia dell’arte e di epoche arcaiche da lui rinvenuti. Archeologia e antropologia si fondono in una esposizione di intriganti connessioni e di sorprendenti rimandi alle realtà odierne di questi luoghi ed ambienti.

Inaugurando una nuova prospettiva di arte ambientale, attraverso la tecnica del trompe-l’oeil, ha sviluppato i temi della difesa dell’ambiente e del degrado della Laguna Veneta. Rivisitando allora immagini e simboli del passato, ha cercato di trovare la via per ripristinare un rapporto ormai perduto tra umanità e ambiente, di qui il richiamo frequente alla pittura veneziana del ‘700, alla laguna, immagini e motivazioni che confluiscono nelle opere presentate alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia nel 1990, interpretabili come momenti di significazione in chiave mitologica e magica.

Nel 1993, presso l’Istituto Ellenico di studi Bizantini e Postbizantini di Venezia presenta il
libro d’artista Archeomitologia
. Un’operazione concettuale questa in cui immagini e testi collaborano
ad evocare una protostoria individuale e collettiv
a, un viaggio a ritroso che ha per teatro le rotte mediterranee degli eroi del Nostoi e per estrema destinazione la laguna: fonte e spazio privileggiato delle sue esperienze esistenziali e artistiche. Non per caso, quindi, il volume è impresso in carta di alghe della laguna veneta.

Artista concettuale, o iperconcettuale come lo definisce Giorgio Celli, scrivendo che l’artista porta alle estreme conseguenze questo tipo di esperienza e si lascia tentare dalle possibilità del pensiero analogico: esemplari a riguardo le opere presentate alla galleria della Fondazione Bevilacqua La Masa, nella mostra intitolata
Dopo Tiepolo, Venezia, 1997 : in questa occasione l’artista presenta dei grandi dipinti che ormai vengono a riaffermare il suo passaggio dalle tecniche del trompe-l’oeil a quelle diversamente sperimentali del’immagine digitale.

Il Modern Art Museum di Ca’ la Ghironda, Bologna 2016, inaugura un importante mostra di opere di Tessari Venosta dal titolo Un percorso artistico tra memoria e miraggi.  Date le tematiche di carattere ambientalista ed ecologico dell’artista, aventi per teatro la Laguna Veneta, la mostra è stata dedicata alla memoria del suo amico carissimo, lo scienziato Giorgio Celli, con cui ha diviso spesso concezioni e progetti. Il ciclo di lavori esposti comprende una produzione storica che va dal 1983 al 1996, attraverso un itinerario di affascinanti e coinvolgenti testimonianze sull’impegnata e complessa creatività di questo artista.

La sua ricerca si è da tempo orientata a rivestire il fenomeno artistico di una prospettiva globale nel senso che l’opera per Lui è prima di tutto memoria dell’origine. In tale direzione si è dunque sviluppata una sua concezione che apre nuove frontiere alla stessa antropologia del sacro.

In anni recenti l’artista si è espresso attraverso le modalità operative sia della performance che dell’installazione ambientale, ispirate deliberatamente a rituali sciamanici della cultura longobarda, esposte in vari centri italiani, con cui ha voluto rinnovare, sul piano della rappresentazione artistica, originarie simbologie del sacro. Esemplare a tale proposito è stato il suo intervento nell’ambito delle iniziative scientifiche ed espositive sul tema: Ritornano i Longobardi che si sono svolte al Museo del Sannio a Benevento nel 2000.

Ha scritto Massimo Donà nel 2001 per l’installazione ambientale dal titolo Ad Perticas, situata in uno spazio fortemente evocativo sulle magiche rive della Livenza, in cui viene rappresentata una cinquantina di pertiche piantate sul terreno e sormontate da uccelli lignei, installazione ispirata deliberatamente a un rituale sciamanico “funerario-militare” della cultura longobarda : La sua vocazione invera un percorso spirituale e artistico che proviene da molto lontano; credo quindi abbia perfettamente ragione Toni Toniato nel rilevare come, lungo tutto il suo percorso artistico, egli abbia messo a segno un vero e proprio rovesciamento delle concezioni e dei procedimenti cari a Duchamp.

Attualmente i momenti più significativi della sua produzione vengono risemantizzati alla luce di nuovi interessi e ricerche, in un percorso investigativo a ritroso che suscita e riannoda contenuti archetipali e pulsioni artistiche in una rivelativa corrispondenza di temi di percezioni e di immagini.